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il progetto di mindfulness a cura di Valentina Giordano

SPIRITI AFFAMATI

Gli spiriti affamati sono persone fameliche. Possono passare da un rapporto all’altro senza sentirsi mai nutriti. Non conoscono la persona davanti a loro, e non conoscono nemmeno se stessi. Tutto ciò che sanno è che vogliono sempre di più.

~ Brenda Shoshanna

C’è un concetto, nella mitologia buddhista, che ho sempre trovato interessante. È quello degli hungry ghosts, o spiriti affamati – l’espressione con cui si fa riferimento a uno dei sei reami dell’esistenza.

Ogni reame è popolato da figure (Dei, Semidei, Umani, Animali, Spiriti Affamati ed Esseri Infernali) che rappresentano aspetti dell’esistenza umana, i nostri diversi modi di esistere. Alcune persone dimorano per gran parte della loro vita in un solo reame, mentre la maggior parte di noi passa da un mondo all’altro anche nel corso di una singola giornata.

Gli spiriti affamati sono esseri animati da intensi bisogni emotivi e fanno del desiderio il loro stile di vita. Sono raffigurati come creature dallo stomaco grande e vuoto, la bocca piccola e il collo così sottile da non poter deglutire, motivo per cui rimangono sempre affamati. Si dice che si nasca spiriti affamati a causa dell’avidità, l’invidia e la gelosia a cui ci si è abbandonati nella vita precedente.

Negli insegnamenti buddhisti “gli spiriti affamati sono incapaci di prendere o assimilare ciò di cui hanno disperatamente bisogno. Il problema deriva dalle loro gole troppo strette, che non possono aprirsi per ricevere nutrimento. Vagano senza meta in cerca di un sollievo che non arriva mai.”

Questo è anche il regno della dipendenza, dell’ossessione e della compulsione, in cui siamo costantemente alla ricerca di qualcosa al di fuori di noi, per appagare un desiderio insaziabile di pienezza. Insaziabile, perché ciò di cui andiamo disperatamente alla ricerca non è ciò di cui abbiamo bisogno, e fintanto che spendiamo la nostra esistenza in questa modalità – con tutta la sofferenza e la disconnessione che ne deriva – non lo sapremo mai. Sprecando la nostra vita un momento dopo l’altro.

Ho conosciuto molti spiriti affamati e, sicuramente più spesso di quanto creda, lo sono senz’altro anch’io. Sono persone che non si saziano mai e, in egual misura, non sanno dire grazie. Sono quelli che al ristorante ordinano il piatto più caro e sofisticato, perché loro dalla vita vogliono solo il meglio, e poi un assaggio dopo l’altro fanno fuori metà del tuo, incapaci di comprendere davvero come si possa sorridere appagati di fronte a uno spaghetto al pomodoro. Anche quando vivono un’esperienza di pura gioia, sono perseguitati dall’idea che la vera felicità sia da un’altra parte, e li stia sfuggendo.

La parola centrale che li definisce è “fame” – non intesa come curiosità, interesse o appetito, che nella vita, come nelle relazioni, o in tutti i piaceri sensoriali è il segno di uno stato di salute – ma una fame che prende la forma della bramosia. Potremmo addirittura dire che a definire gli spiriti affamati, più che il sostantivo, sia l’aggettivo che accompagna la parola “fame”: insaziabile.

Questa condizione di avidità si manifesta in tutti gli aspetti della vita, incluse le relazioni, e molto spesso le persone che non sanno amare possono essere condannate a vivere un’esistenza da spirito affamato.

Il punto è che siamo tutti soggetti a sperimentare questo stato mentale ed emotivo, contraddistinto dalla fame e dalla sensazione di scarsità. Gli hungry ghosts – quelli che non si saziano mai – siamo proprio noi. Ed è facile diventarlo in un mondo in cui vige la cultura del consumo e del confronto, dove sono sempre meno perseguiti i valori del lasciar andare, dell’essere, dello svuotarsi e sono sempre più esaltati i loro opposti: il trattenere, l’avere, il riempirsi.

Potremmo aver ricevuto una promozione e rincorrere già un nuovo lavoro. Oppure fantasticare su un altro partner, una casa più grande fino ad avere difficoltà nel capire che ciò che abbiamo è abbastanza per esserne grati.

La cattiva notizia è che ognuno di noi sperimenta continuamente questa condizione – e nessuno di noi può comprendere veramente l’altro senza guardare con onestà e gentilezza le proprie zone d’ombra. Quella buona è che, con un po’ di impegno e consapevolezza, ognuno di noi può riscoprire una relazione più armoniosa con la fame, in tutte le sue manifestazioni.

Forse può essere utile fermarsi ogni tanto, ascoltarsi, e chiedersi: ho ciò di cui ho bisogno in questo momento?

Sorprendentemente, potremmo scoprire di avere più di ciò che andiamo cercando e trasformare la sensazione di carenza in un’ondata di gratitudine. La pratica ci insegna a essere totalmente presenti a ogni momento, smettendo di correre continuamente di qua e di là. In questo modo impariamo a dimorare nel presente, a godere di ciò che abbiamo, e ad apprezzare di più la vita.

Come insegna Henry David Thoreau: Gli sciocchi stanno sulla loro isola delle opportunità e guardano verso un’altra terra. Non c’è altra terra, non vi è altra vita se non questa.

Buone riflessioni e buona pratica!



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